Chi è Cyro Rossi, autore e regista di Sono io

Non solo una vita da attore, anche pubblicità e regia. L'intervista a Cyro Rossi fresco di vittoria al Chelsea Film Festival di New York.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.
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Cyro Rossi, fiorentino, classe ’77, attore e regista, passione per il neorealismo, ammira e segue le opere di Xavier Dolan, Abdellatif Kechiche, Nuri Bilge Ceylan, Matteo Garrone solo per citarne alcuni. Lo conosciamo per aver di recente raccontato l’altra faccia del Covid, con il brillante corto Sono io, che oltre a esser premiato come miglior Corto Sperimentale all’International Short Film Festival di Mosca, sta riscuotendo molto successo sul web e innescando riflessioni fortissime sulla pandemia e sul senso di responsabilità che tutti, nessuno escluso abbiamo verso questo virus. Come ribadisce Cyro a proposito del suo ultimo lavoro:

Il Covid siamo noi, Sono Io.
Il nemico siamo noi stessi, l’essere umano. Un interesse mediatico sul Covid così forte non deve eclissare tutte le altre problematiche ancor più drammatiche.

Leggi anche: “Sono io”, un corto smaschera la vera faccia del Covid

Cyro Rossi, non solo attore e regista impegnato

Anche appassionato di pittura e scultura, Cyro nel suo ambiente è conosciuto per essere una figura molto poliedrica, non solo sulla scena ma che nella vita: ha infatti vissuto in Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Brasile per poi decidere di inseguire definitivamente la sua passione nel mondo del cinema, dopo gli studi alla Scuola Immagina di Firenze con Giuseppe Ferlito e alla Duse International di Roma con Francesca De Sapio.

Attualmente lavora con l’agenzia CDA Studio di Nardo, di Roma, dopo aver studiato recitazione nella scuola Imagina di Giuseppe Ferlito, da allora Cyro ha partecipato a vari cortometraggi e lungometraggi tra cui Maria per Roma di Karen Di Porto (Nastro d’Argento e Globo d’oro) per poi fare il salto coraggioso dietro la macchina da presa così nel 2017 ha debuttato con il cortometraggio Buscije, da lì un susseguirsi di lavori dietro e davanti l’obbiettivo.

Cyro Rossi e il fortunato debutto con il cortometraggio Buscije

Il debutto con il cortometraggio Buscije ha inaugurato una serie di altri lavori Binario 4 con cui Cyro vince a New York, Keep Walking, entrambi nel 2019, A R R U B I U e la web serie Aut Aut nel 2020, la storia di una maestra un po’ particolare perché era combattuta dal sogno di fare la cantante, un conflitto interiore tratto da una storia vera. Cyro ha inoltre anche preso parte, come protagonista, del videoclip di Jamie Jones feat leave Ya Over each other di Vito Vinci e sarà a breve su Amazon Prime Video nella parte del marito di Anna Foglietta, nel film ‘Il talento del calabrone’ di Giacomo Cimini, con protagonisti la stessa Anna Foglietta e Sergio Castellitto.

MI SFORZO DI DIVENTARE UN REGISTA E ATTORE ITALIANO DI FILM, CHE SI PRENDE DEI RISCHI. NUOVI GIOVANI ASPIRANTI ATTORI, STORIE INNOVATIVE E STIMOLANTI. ABBIAMO UNA GRANDE QUALITÀ ESPRESSIVA IN ITALIA E UN GUSTO DA INVIDIARE, QUALCOSA DI CUI VADO ORGOGLIOSO.

L’intervista a Cyro Rossi, vincitore al Chelsea Film Festival con una best story

cyro rossi

Una delle cose più note di te è la tua versatilità professionale, come riassumeresti la tua carriera?

Non solo regia, l’essere attore lo porto sempre dentro e in attesa del film della vita giro anche molta pubblicità come quella per Mercedes, oltre a Divani & Divani, Eurospin che spopolano in tv, su Mediaset, Rai, La 7. Il mestiere di attore e circondarmi a mia volta da attori li porto sempre avanti con molto interesse e passione.

Mentre la tua esperienza come regista?

Il mio primo lavoro di regia è Buscije, del 2016- 17, una storia vera che ho scritto insieme a un’altra sceneggiatrice, parla di un maltrattamento sulle donne, con racconto di una ragazza spaesata che incontra molti tipi di uomini che non la fanno stare tranquilla. Abbiamo voluto mettere in scena un maltrattamento non solo fisico ma anche psicologico, raccontando la storia di una ragazza che a livello sentimentale sfoga i conflitti dovuti all’assenza del padre e a un rapporto conflittuale con la madre.

Dopo di che ho lavorato ad Arrubiu girato in Sardegna durante un seminario intitolato Follia sotto controllo che ho avuto il piacere di dirigere con l’actor coach Emiliana Gimelli che lo scorso anno mi ha invitato a Cagliari a lavorare con gli attori, a fare delle riprese, a prendermi cura della regia e delle scene.

È stato molto bello lavorare in questo seminario, sono anche docente di bioenergetica e lavorare con il corpo mi piace, poter coniugare questa disciplina con la parte registica, poi dopo aver terminato quel seminario mi sono recato con un’attrice musicista in un’altra location, a Molentargius vicino Cagliari e proprio in questa location abbiamo girato A R R U B I U nelle saline: sulla scena di questo paesaggio etereo e naturale un’attrice ballava su una base musicale realizzata con violoncello, il seminario aveva innescato un’energia particolare che ci siamo portati naturalmente dietro sul set.

Mentre anche per la pubblicità hai messo in scena una storia, un cortometraggio…

Sì, con una produzione svedese mi sono occupato di Keep Walking, dovevamo sponsorizzare dei gioielli, uno spot pubblicitario su cui ho voluto costruire una storia, lo abbiamo girato a Milano, siamo stati poi selezionati per diversi festival internazionali, arrivando in finale in Croazia: è stata un’esperienza in qualche modo importante perché abbiamo trasformato una pubblicità in cortometraggio. In più quella fu un’occasione importante anche per un altro aspetto, sperimentare il lavoro con gli animali, con due cani, che non è mai una cosa semplice sul set.

Proprio in questi giorni siete stati premiati con Binario 4, vincendo al Chelsea Film Festival di New York, ci racconti di questo lavoro?

Sì proprio in questi giorni ho avuto la notizia che abbiamo vinto con una best story al Chelsea Film Festival di New York e già questo è un motivo di grandissimo orgoglio e poi siamo stati selezionati in altri quattro festival sempre internazionali. Binario 4 è stato un lavoro che mi è rimasto nel cuore: girato due estati fa, tratta un tema molto delicato, lo stop child trafficking sul dramma dei bambini che vengono rapiti e dispersi.

Ci sono dei numeri importantissimi a documentare questa tragedia ancora in atto nel mondo e grazie a La Costellazione, l’associazione che ha prodotto il progetto, mi è venuto in mente di raccontare questa storia e girarla completamente a Firenze, con mia figlia e i miei nipoti, nella Stazione di Campo di Marte. È stato interessante lavorare a questo progetto, lavorare con mia figlia, vederla immergere nel personaggio, un’esperienza molto emozionante. Siamo stati riconosciuti in vari festival.

Dopo il Covid, come ti aspetti che ritorni il cinema?

La cultura tutta, non solo il cinema, dovrebbe tornare a essere quello che era, cioè un servizio, dare la possibilità al cittadino di conoscere e scegliere cosa vedere. Non è tanto quanti incassi fa un film ma essere un servizio, un semplice servizio, come la sanità: questo dovrebbe essere il cinema, come andare in libreria, dare un servizio, la possibilità di far leggere come di vedere film. Invece c’è un po’ di confusione, spingono a far vedere questo, a far leggere questo, non c’è una grande libertà di scelta culturalmente parlando, sia tramite i mass media, sia nel senso più indipendente.

Anche nel cinema, a teatro, nelle librerie c’è una sorta di strumentalizzazione su quello che uno deve vedere, tutto è molto legato agli incassi, a me piace pensare al cinema come un servizio semplice per i cittadini e mi auguro possa tornare così per il popolo, questa è la priorità, altrimenti tocchiamo il fondo. Non ci meravigliamo se poi leggendo Pasolini, Leopardi ci sembrino fuori dal mondo. A livello di TV i programmi che passano sono di basso livello molto spesso, perché non c’è questa sensibilità, un orientamento a far conoscere, certe poesie, certi poeti, certi artisti, perché non fanno riscontro. Dovremmo ricostruire la possibilità della cultura come servizio.

Il tuo è un un concetto molto tradizionale ma essenziale?

Sì mi sembra che molti se lo siano dimenticato, le cose tradizionali e semplici sono quelle che stiamo trascurando in tutto questo marasma, dovremmo tornare forse un po’ alla semplicità.

Leggi anche: Perché andare al cinema è importante come andare al supermercato


L’intervista

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